che convincerò prima o poi a diventare internauta, aprire un blog, scrivere un romanzo, fondare una casa editrice e prendere l'aereo.
IL GROSSO SACCHETTO DI PLASTICA
di Elena Pigliacampo
L’immagine riflessa allo specchio suscitò in lei un certo disappunto.
Si allontanò di qualche passo, inclinò la testa da un lato, e poi dall’altro; e ancora profilo destro, profilo sinistro. Provò a sorridersi, si guardò con fare seducente lanciandosi baci; si avvicinò così tanto alla superficie di vetro, da schiacciarsi il naso. Fece delle smorfie.
Indietreggiò, e scuotendo la testa con fare isterico esclamò “ Che orrore!”.
Il faccino che tanta ammirazione provocava tra i sui amici e che le aveva fatto guadagnare il titolo di “Reginetta Acqua e Sapone 2005” alla festa della scuola, ora si presentava deturpato da un gigantesco, rotondo, paio di occhiali rosso fuoco. I bellissimi occhi verdi, ormai inghiottiti dalle lenti si erano trasformati in due informi ed inquietanti occhi di insetto. Non si era mai sentita così brutta in vita sua!
Una settimana prima, quando sua madre aveva insistito per portarla a fare l’annuale controllo oculistico dal dottore, non poteva certo immaginare la tragedia che di lì a poco l’avrebbe colpita.
“Tre gradi e mezzo!” aveva esclamato quello, con il suo solito fastidioso sorriso.
Le parole le riecheggiavano ancora in testa a distanza di giorni, come se l’uomo dal camice immacolato le avesse or ora pronunciate,una sorta di malefico verdetto. E il verdetto in effetti c’era stato, chiaro e senza possibilità di essere frainteso: o gli occhiali, subito, o la cecità, intesa non nel suo significato più tragico, ma come sgradevole sensazione di non riuscire a cogliere pienamente la realtà in torno a sé. In altre parole era miope.
“Me misera” continuava a ripetere, consapevole che mai avrebbe accettato la sua condizione di “diversa”. Ma anche se il corpo si ribellava alla volontà della padrona, una cosa era certa. Non poteva rischiare. E su questo non si discuteva. Insomma, era più che ovvio che non si nasceva con un viso come il suo, per poi portarlo in giro mascherato da Frankenstein. La sua reputazione, la sua stessa vita erano in pericolo, e chiunque si sarebbe reso conto che era tempo di agire repentinamente. Bisognava al più presto trovare una soluzione.
Lo spirito di Jane Austin si impossessò di lei e come una Elisabeth Bennet dei giorni nostri, decise che non si sarebbe lasciata sopraffare dal destino, avrebbe lottato per la sua sopravvivenza in questo mondo spietato e sarebbe rimasta la beniamina di tutti.
Per farla breve, non avrebbe portato gli occhiali. In fondo era facile. Bastava seguire alcune regole fondamentali e non transigere.
Primo: strizzare continuamente gli occhi, distendendo gli angoli della bocca quanto basta a dare l’impressione che si stia sorridendo a qualcuno.
Secondo: distogliere il meno possibile lo sguardo dalla porzione di terreno che si sta calpestando, e cioè accertasi che i piedi avanzino l’uno dietro l’altro con disinvoltura.
Terzo: non abbandonare mai e per nessuna ragione al mondo il braccio di un’amica.
Niente di più semplice.
Se avesse sospettato che anche in questo caso il destino aveva in serbo per lei ben altre sorprese, il mattino seguente se ne sarebbe restata a casa.
Dopo aver superato brillantemente la prova di strizzo e sorriso, ed aver sfoggiato un’andatura da star aggrappata ermeticamente a un braccio amico; ammirata dagli sguardi estatici dei suoi compagni di scuola, stava accingendosi ad entrare in classe, quando la sua attenzione venne completamente catturata da una presenza insolita nel lato opposto del cortile.
Probabilmente il ragazzo più carino su cui avesse mai posato gli occhi!
All’improvviso tutto intorno a lei perse di significato. Gli amici, la reputazione, gli occhiali… tutto svanito in un attimo.
La cosa fondamentale, ora, era andare a conoscere il nuovo ragazzo che se ne stava appoggiato al muro, in un angolo, muscolo palestrato, vestito di bianco e talmente alto che non finiva più. Con scatto felino si sganciò dal braccio di sostegno, ormai privo di sensibilità, e prima che qualcun’altra prendesse l’iniziativa, galoppò spinta dall’amore verso lo sconosciuto gridando in modo che tutti potessero sentire “Vuoi uscire con me?”.
Ma non ricevette alcuna risposta, perché, si sa, i sacchi di plastica di solito non parlano, e i grossi sacchi di plastica bianchi appoggiati alle pareti poi, sono i più schivi di tutti.