domenica 20 marzo 2011

La stufa

I signori Bionducci erano degli ecologisti militanti: mangiavano macrobiotico, vestivano fibre naturali, votavano contro il nucleare e riciclavano la spazzatura con precisione quasi maniacale. Mai era capitato che la carta oleata finisse nel sacchetto dell'umido, o che un barattolo di vetro non venisse separato dal suo coperchio di plastica per trovare entrambi la fine nel giusto bidone!
Lei seguiva con passione corsi dal titolo: "I fiori di Bach ci salveranno dalla sindrome di Sthendal" oppure "Lo Yin e lo Yang a confronto: quale forza sovrasta le vostre costellazioni familiari?".
Il marito invece assillava il libraio del paese alla ricerca di pubblicazioni introvabili con titoli tipo: "Tesla l'aveva capito, arrivateci anche voi!" oppure "Istruzioni semplici e veloci per costruire il vostro cronovisore casalingo".
Il massimo della soddisfazione lo raggiunsero il giorno in cui comprarono una stufa ecologica alimentata a mais.
Era quanto di più pionieristico fossero riusciti a concepire nel campo delle energie alternative: un combustibile alimentare, pulito e sano. Avevano perfino riadattato la caldaia dell'acqua, così da fargli sostituire anche lo scaldabagno. Insomma, una cosa fenomenale, da quando l'avevano vista alla fiera dell'edilizia se ne erano innamorati e non parlavano d'altro. Avevano fatto una testa così a tutti i vicinati. Che venissero in massa a vederla in funzione il giorno dell'istallazione, che si rendessero conto di come poteva essere il futuro, altro che le loro stufette puzzolenti a cherosene o peggio ancora quelle sanguisughe elettriche.
E così in quel pomeriggio di ottobre, forse anche perché il freddo era arrivato presto, a casa dei Bionducci si radunò mezzo quartiere, tutti curiosi di vedere come funzionava- e quanto scaldava- questa fantomatica stufa a mais.
Eccola lì, tutta luccicante, nel posto d'onore del salone.
-Assomiglia alla vecchia stufa a ghisa di zia Luisa- diceva la signora Corallini.
-Ah! Ma questa è tutta un'altra cosa -rispondeva la signora Bionducci, passando tra gli ospiti con un vassoio pieno di tartine e crudité. -Gradisce un crostino al tofu?
-No, no grazie!
Il signor Bionducci arrivò tenendo in spalla un grosso sacco di iuta che aprì con gesto plateale. Dentro i chicchi di mais splendevano come milioni di grani d'oro.
-Zitti tutti e guardate!- annunziò stipando palettate di mais dentro la cabina di combustione. Nel silenzio più assoluto accese un quadratino di paraffina e lo buttò nella stufa che dopo neanche un minuto si accese senza problemi.
-Vedrete- gongolò la signora -andrà in temperatura in pochi istanti.
Effettivamente la bocchetta dell'aria calda cominciò a spargere un venticello tiepido, quasi fosse stato chiamato dalla sua voce.
Nel salotto si alzò un mormorio di assenso stupito, tanto più animato quanto più la stufa si scaldava velocemente.
-Ma è una meraviglia!
-Eccezionale!
-Gradite una tartina al seitan?-Incalzava la Bionducci col vassoio.
-Beh, quasi quasi...
In quel momento dalla stufa cominciò ad alzarsi un sinistro brontolio, che gelò la conversazione.
Lo strano rumore fu interrotto da uno scoppietto, piccolo ma preoccupante, al quale ne seguì subito un altro, e dopo poco un altro ancora.
-Ma è normale?- chiese la Corallini titubante.
-Ci sarà pericolo?-Insistette la vecchia Isolina, presenza storica di tutti gli eventi del rione.
-Non saprei...-ammise la Bionducci, mentre il marito provava a dare qualche pacca alla bocchetta di sfiato dell'aria calda.
-Qua sembra tutto a post...-stava dicendo, quando dalla pancia della stufa proruppe una gragnola di colpi simili a quella di una mitragliatrice scatenata.
Fu il panico: tutti scapparono a destra e sinistra tra strilli e sturbi mentre una pioggia di bianchi proiettili bollenti li faceva schizzare dalle poltrone.
Le comari saltavano dalle sedie come se avessero avuto le molle al deretano, Isolina tirava fendenti a destra e sinistra col bastone, i Bionducci si ripararono dietro la teca del giardino zen.
Ci vollero giorni per capire cosa era accaduto ma alla fine la verità saltò fuori. Niente guasti, niente malfunzionamenti, niente cecchini. Più semplicemente la ditta fornitrice del mais aveva confuso la consegna per i signori Bionducci con quella per la Multisala lì vicino recapitando loro per sbaglio cinque quintali di mais da pop corn.

martedì 8 marzo 2011

La boutique

OTTO PAROLE (suggerite da Elena Pigliacampo): pecora, rum, cattedrale, occhiali, pungitopo, finestra, allergia, lettera.

Al centro di Montegattonero c'era la boutique di Graziano Mazzaferro.
Sua madre aveva lavorato tutta la vita alla fabbrica di camicie giù a valle e ora che era pensionata il figlio la teneva nel retrobottega a cucire abiti da cerimonia da lui disegnati.
Un osservatore attento avrebbe potuto notare degli strani piccoli dettagli poco incoraggianti: una stola su un manichino vagamente simile ad una pecora scuoiata, il gabardine che dava allergia come neanche i pollini di maggio o il rosso Valentino degli abiti da gran sera, un rosso che virava scomodamente verso il pungitopo dopo un quarto d'ora che lo avevi indossato, quando appunto cominciavi a sentirti pungere da tutte le parti. Ma a Montegattonero una boutique non si era mai vista e la gente era di bocca buona così gli affari di Graziano tiravano avanti.
I veri problemi sorsero quando venne in visita al paese il nuovo vescovo. Sì, perché il negozio si chiamava "La cattedrale della moda" e quando il prelato posò il suo venerando sguardo sull'insegna gli occhiali d'oro gli saltarono dal naso e quasi gli prese un colpo. Si scagliò con una filippica che neanche il Papa dalla finestra di Piazza San Pietro le aveva fatte mai. Che vergogna, accostare un concetto sacro come quello di "cattedrale" con la moda, quale eresia!
Per evitare le antipatie dei paesani Graziano decise di cambiare nome all'attività e scelse una cosa moderna e internazionale, efficace e all'avanguardia: "Mazzaferro Show Room".
Forse era un po' troppo all'avanguardia visto che Sandrino Berti quando ricevette l'ordine telefonico per la nuova insegna non ci capì un'acca e dopo una settimana fece recapitare il cartello nuovo, con sopra scritto "Mazzaferro Show Rum".
Graziano, inviperito, fece una telefonata di fuoco.
-Oh Berti! So' Graziano, quello della boutique!
-Ah Graziano, come va l'insegna?
-Fa schifo! Sei un ignorante! Hai scritto Rum, e che vendo io, i liquori?
-Ma che ne so io di che cosa vendi tu! Mi hai chiesto rum, e io ho scritto rum!
-Rum inglese, no italiano!
-Per me può essere pure australiano, tanto sono astemio.
-Ohè, io quell'insegna non la pago, capito? O me la correggi, oppure non sgancio una lira.
-Te la correggo, e che ce vo'? E' solo una lettera, non ti incazzare!
-Devi scrivere Show Room con la doppia “o” perché è inglese!
-Sì,sì.
Ma il Berti di inglese conosceva solo la zuppa, come dimostrò la seconda insegna: "Mazzaferro Sciò Rom".
Graziano se la tenne, a fronte di un forte sconto e anche se non ottenne quell'aura metropolitana che agognava non ebbe mai più problemi con gli zingari.