lunedì 1 novembre 2010

Merenda


Lilli rientrò in negozio dopo essere andata a fare la spesa. La prima cosa che vide, nei pressi della cassa, fu il sacchetto della Panetteria Bignè appoggiato lì accanto.
Era il forno più rinomato del circondario e spesso Lilli & Franti ci facevano una capatina quando volevano concedersi uno sfizio ghiotto.
"Chissà come avrà fatto Franti a trovare il tempo di andarci?" si chiese la ragazza, appoggiando lì vicino la sporta con le verdure. Ma era meglio non indagare troppo, quando si trattava di dolci e piaceri mangerecci Franti era capace di qualsiasi prodezza.
Mentre Lilli si mise a sbollare le scatole arrivate quella mattina augurandosi che qualche cliente si decidesse ad entrare Franti tornò dal retro, rovistò tra le buste della spesa e tirò fuori un filone di pan di mosto.
-Bono- commentò addentandolo voracemente.
"Anch'io voglio fare merenda" si disse Lilli. Lo raggiunse, tirò fuori dalla borsa della panetteria la pizza con la cipolla e si sedette accanto al marito.
-Hai fatto caso che quando mangi la pizza alla cipolla di questi qua, dopo l'alito non puzza?- chiese Franti, sbranando il suo filoncino.
-Per questo ne vado matta- rispose lei, concedendosi anche qualche biscottino alle mandorle. Lui la imitò.
-Ma come hai fatto- chiese lei- a lasciare il negozio per andare a prenderli? Hai chiuso per qualche minuto?
Franti si fermò col biscotto a mezz'aria.
-Non ci sono andato.
-E allora come hai fatto a comprarli?
-Non li ho comprati, pensavo lo avessi fatto tu.
-No, io ho preso solo le verdure. Ma, allora...?
-C'è un signore nella stanza dietro.
-Oddio, vuoi vedere che ci siamo mangiati la sua roba?
-...mmessaddessì!
-Eh?
-Mi sa di sì.
-E adesso che facciamo?
-La vai a ricomprare, al volo.
-Va bene. Allora: c'era una pizza alla cipolla, un pan di mosto e i biscotti...quanti ce ne saremo mangiati?
-Sei o sette!
-Ammappela che cavallette!
-Questi qua rimasti saranno circa due etti...
-Macché, sono almeno due etti e mezzo...
-Allora fattene dare tre etti!Corri...
-Sì, tu distrailo....
Fu così che Lilli percorse il viale in due minuti secchi, bruciò la fila dal fornaio (scusi è un'emergenza, ho la bisnonna moribonda, permesso), ricomprò il maltolto e rientrò giusto in tempo per sentire Franti che diceva, dalla stanza delle guide turistiche:
-Le confronti bene, deve essere sicuro della scelta...
Lilli sostituì il sacchetto depredato con quello nuovo proprio nel momento in cui i due sbucavano dal corridoio.
-Giovanotto, sono sicurissimo! Voglio questa qua, mi faccia pagare.
-Pronti!- disse la ragazza cercando di camuffare il fiatone.
Imbustò l'acquisto e aggiunse un segnalibro omaggio.
Servizio perfetto.

martedì 31 agosto 2010

La redenzione di Ramon


OTTO PAROLE
(su gentile richiesta di Gyacinta): vicolo, grattacielo, perdersi, Paul Auster, sentiero, destino, Italo Calvino, Gyacinta (+ Barbara).

Carmen Gonzales camminava per le strade di Manhattan con le spalle un po' incurvate per la soggezione.
C'era da perdersi fuori dal vicolo dove era vissuta tutta la vita ma aveva fatto una promessa e ora camminava lungo il borough intabarrata nel suo cappotto di panno blu, con il plico sotto il braccio e il foglietto dell'indirizzo in mano. Il Crystal Cobalt era piuttosto basso per poterlo definire un grattacielo, ma restava comunque molto più grande di qualsiasi costruzione in cui Carmen fosse mai entrata.
-Estoy cercando mister Jeff DeBarbara- chiese timidamente all'usciere.
Ramon le aveva detto che era un editore molto importante, talmente importante da rifiutare nella sua scuderia gente del calibro di Philip Roth o Paul Auster. Carmen aveva annuito a quei nomi, anche se non li aveva mai sentiti prima.
-Non me vorrà veder, nunca- pensò rivolta al plico.
E invece, per un benigno scherzo del destino, dopo un paio d'ore fu ricevuta dal pezzo grosso in persona.
-Buongiorno signora- esordì DeBarbara.
-Ricevo sempre un postulante al mese- spiegò notando l'espressione incredula della donna. -Mi lasci indovinare, lei ha scritto un capolavoro e vuole sottoporlo alla mia attenzione, dico giusto?
-No senor, io non escribo neanche la lista para la spesa.
-Ah! E allora cosa vuole da me?
-Te devo dare esto, es da parte de Ramon- rispose porgendo la busta.
-Uno scrittore?
-No, era el camarero all'hotel Bella Italia. Ora però es vecchio, es moribundo.
DeBarbara ciucciò il suo sigaro in silenzio, lasciando andare i pensieri per qualche misterioso sentiero.
-Che storia c'è dietro?
-Ramon leggeva los libros siempre. Era su unica pasion. Lavorava e leggeva, leggeva e lavorava. Solo trabajo e lectura. Un dia ariva nel albergo un grande escritor famosissimo. Ramon era così felice porquè anche lo escritor era original de Cuba, proprio come lui. Così Ramon ha fatto peccato: entrò nella sua camera in oculto e silenzioso, ha apierto una borsa piena de carte e ha rubato un fojo.
-Cosa c'era scritto sul foglio?
-Una fabula. Ma lui non l'ha letta, nunca. Solo el titulo, poi l'ha richiusa. Ma se vergognò a volverla indietro. Ahora Ramon esta per morir.
-E perchè la vuole dare proprio a me?
-Ramon dice che te conosce. Anche tu vai siempre all' Hotel Bella Italia. Ramon dice che tu es abastanza loco per restituir la fabula al pueblo.
-Ramon mi cede la sua refurtiva perché pensa che io sono matto?
Carmen si alzò e se ne andò senza aggiungere altro.
Quello che doveva fare lo aveva fatto e ora poteva tornare a casa.
DeBarbara rimase solo nel suo ufficio a ripensare a quella strana storia.
Non aveva creduto ad una parola: probabilmente la favola non era di qualche misterioso scrittore ispanico del passato ma l'aveva scritta Ramon in persona, o forse la stessa Carmen.
Quella era tutta una balla inventata apposta per incuriosirlo. La cosa migliore sarebbe stata strappare la cartella e andare a pranzo ma in fondo una cosa giusta lei l'aveva detta: Jeff era abbastanza loco.
Aprì il pacco e guardò il frontespizio: "Gli orti di Gyacinta, di Italo Calvino".

martedì 24 agosto 2010

Il lillà indiano



OTTO PAROLE
(dal cd di canzoncine dei pupi) : denti, inchino,capelli, panni,verdura, gambe, amico, capitano.

-Se mi permette un consiglio, milady, le suggerirei di non affacciarsi in questo momento- disse Perkins dopo aver aperto le tende del salone come gli era stato chiesto pocanzi da Lady Wester intenta alla sua colazione.
Il suo tono era calmo e imperturbabile ma la richiesta suonava oltremodo bizzarra.
-Non ho voglia di farlo- rispose milady sorseggiando il suo tè - ma nel caso mi andasse perché non dovrei?
-Per non rovinare una serena digestione- rispose Perkins con un piccolo inchino.
Milady non seppe resistere alla curiosità eppure guardando dalla finestra del palazzo dei suoi avi tutto si sarebbe aspettata tranne che una mandria di mucche al pascolo nel suo meraviglioso giardino vittoriano. Quasi le cedettero le gambe dalla sorpresa.
Mucche?
Se i suoi capelli non fossero già stati bianchi lo sarebbero diventati di sicuro.
Quelle volgarissime e puzzolenti bestie dallo sguardo acquoso strappavano con i loro denti bovini i delicati germogli primaverili, i rododendri, le eriche, e -orrore- trasformavano in verdura da ruminanti il lillà indiano che il suo povero papà, il capitano Wester, aveva portato con sé dalle colonie tanti anni addietro.
Se non fosse stata educata nei più rigidi collegi del Regno si sarebbe messa a urlare e sbraitare per l'indignazione, ma visto che era una vera lady se ne rimase ferma in silenzio ad osservare quello scempio accanto a Perkins che, dal canto suo, se invece di mucche si fosse trattato di mammut non avrebbe perso la sua espressione impassibile.

Solo quel pomeriggio milady poté dare sfogo alla sua frustrazione, sulla spalla del maggiore Horace, vecchio amico di famiglia.
-Non mi sono mai sentita tanto disperata. Mettetevi nei miei panni maggiore, non si tratta solo del giardino, che di per sé era bellissimo, ma quella pianta di lillà aveva un valore affettivo incalcolabile.
-O povera cara, ma come è potuto accadere?
-Ah, tutta colpa delle nuove siepi di pisello odoroso che sono state piantate all'ingresso. Pare che il pisello sia talmente odoroso che le vacche , concedetemi il termine, non abbiano resistito.
-Davvero spiacevole.
-Oh, il lillà indiano di mio padre! Quanto lo rimpiango. L'aveva portato dalla giungla come pegno d'amore a mia madre. Non potrò mai sostituirlo.
Il maggiore Horace si affacciò sui resti del giardino di milady, un capolavoro di botanica da sempre orgoglio del maniero. Mentre contemplava la terra smossa, le aiuole calpestate e i cespugli divelti una sensazione di euforica speranza montava dentro di lui. Da quarant'anni era follemente innamorato di milady ma non era mai riuscito a trovare le parole adatte per dichiararsi e chiedere la sua mano. Ora forse non tutto il male veniva per nuocere.
-Se potrà in parte riparare la vostra perdita e riportare il sorriso sul vostro volto io ho intenzione di partire per l'India, affrontare tutti i pericoli della giungla, ritrovare un esemplare identico a quello distrutto e riportarvene una talea da trapiantare.
-Sir Horace, partire per l' India? Di certo state scherzando. Non offendetevi se vi ricordo che avete una certa età.
-Il momento migliore per abbracciare l'avventura-rispose lui, già vedendosi di ritorno dopo mille pericoli con le braccia piene di fiori esotici e la dama, conquistata dalla sua devozione, che cadeva ai suoi piedi.
-Non avete tutti i torti- meditò milady. -Ma sarà meglio che io venga con voi, caso mai abbiate bisogno di un'infermiera per i malanni.
Il maggiore Horace si sentì commosso da tanta premura. Un viaggio in terre lontane loro due da soli era molto più di quanto avesse mai osato sognare.
-Non era quello che avevo in mente, milady, ma se davvero nutrite il desiderio di partire con me...
-E porterò anche Perkins. Capirete, anche lui comincia ad essere attempato e poi si annoierebbe a restare a casa.
Perkins? Quel vecchio barbagianni pomposo alle costole,colui che da quarant'anni riusciva a interrompere i rari momenti in cui il maggiore riusciva quasi a farsi coraggio per la dichiarazione. Se lo trovava sempre in mezzo, ogni volta con quel suo tono impeccabile e il suo tempismo fuori luogo.
-Ecco ...-farfugliò il maggiore.
-Perkins- esclamò lei entusiasta. -Vuoi essere dei nostri?
-Eccellente idea, madame.

Fu così che si formò la compagnia del lillà indiano e due giorni dopo Milady, il colonnello Horace e Perkins partirono per la loro impresa ricca di colpi di scena.

martedì 17 agosto 2010

La foto


Dal mio vecchio blog...

- Eddai Sora Marì! Fateve fa 'sta foto!- implorava Gigetto, rincorrendo la vecchietta per tutta l’aia.

Era il caldissimo agosto del 1968.
Nel mondo infuriava la guerra del Vietnam, Martin Luther King e Bob Kennedy venivano assassinati, in Cecoslovacchia aveva fine la “primavera di Praga”, a Città del Messico quarantamila persone scendevano in piazza per urlare contro la repressione.
A Serrapetrona Luigi Sagripanti non riusciva a scattare una foto a Maria Palma, la donna più vecchia del paese.

Il problema era che lei non voleva saperne e con il cesto delle uova sotto il braccio se ne andava per la sua strada evitando gatti, galline e fotografo con la stessa grazia di una ballerina.
-Vattene che porti disgrazia!- gli urlava scacciandolo con la mano.
Dalla stalla uscì un contadino, l’aria accaldata e la faccia paonazza:
-Gigetto! Lascia sta’ la nonna, che se cade facciamo la frittata!
Gigetto era il fotografo del paese e negli anni aveva collezionato i ritratti di tutti i patriarchi del villaggio perchè voleva rendere testimonianza degli antenati alle future generazioni e inoltre era convinto che non ci sarebbero state mai più -fotograficamente parlando- delle facce così.
Il sole, la fatica, la guerra, gli stenti e la campagna avevano scavato solchi e scritto storie sui volti di quella gente che pur senza parole narravano le vicende di un mondo, un mondo destinato a sparire. Adesso gli mancava solo Maria Palma per concludere l'opera ma doveva sbrigarsi a scattare quella foto perché a novantuno anni suonati ogni giorno può essere quello buono, Dio non voglia.
Gigetto sospettava il vero motivo a monte del suo ostinato rifiuto ed ebbe un’idea. Saltò sul suo vespino e partì a tutta velocità.

-Nonna, sta tornando Gigetto!- disse il contadino, dopo una mezz’ora.
-E s’è portato pure il prete- gemette Marì vedendo una sottana nera che svolazzava dal sedile posteriore.
-Sora Marì- esordì il parroco, prendendole la mano per impedirle di andarsene- perché non volete permettere a questo bravo giovane timorato di Dio di fare il suo lavoro? Ve l’ho detto tante volte: la fotografia non vi ruba l’anima, statene certa. Io ve lo assicuro di persona! Il vostro spirito non resterà nel pezzo di carta, ma quando sarà il momento andrà in Paradiso!
Ci volle mezzo pomeriggio per convincere Maria Palma ma dopo spiegazioni, incoraggiamenti, giuramenti solenni ed esortazioni finalmente si decise.
Don Mimmo dovette benedire la macchina fotografica con l’acqua benedetta e Gigetto mettersi al collo il rosario che era appartenuto alla povera mamma di Marì.
Poi la vecchia, finalmente persuasa, disse che andava in casa a pettinarsi perché - si sa- la donna è donna e non voleva fare brutta figura nella sua unica foto.
Uscì fuori dopo più di mezz'ora: aveva i capelli bianchi raccolti da tre alti pettini d’osso intagliati, dalla crocchia le partiva un meraviglioso scialle di pizzo nero che si adagiava sulle spalle. Indossava una camicia di seta bianca con un corpetto ricamato, una lunghissima gonna con lo strascico e tra le mani teneva un piccolo fazzoletto al tombolo, unico pezzo rimasto del suo corredo da sposa.
Era bellissima.

martedì 10 agosto 2010

Al catechismo

OTTO PAROLE (una per ognuno dei libri top 8 di ibs) : acqua (in bocca), acciaio, canale (mussolini), (il) filo (che brucia), (il) re (dei giochi), (il) Vangelo (secondo Gesù Cristo), caccia (al tesoro) , (un) giorno.

Io non capisco perché quel tipo del Vangelo doveva a tutti i costi far passare un cammello dentro la cruna dell'ago. Glielo ho detto a Suor Agostina che Gesù avrebbe dovuto togliergli la bestia e dargli una matassa di filo a quello lì , invece di attaccare tutta la predica che tanto alla gente così non gliene importa niente delle belle parole.
Come al solito Suor Agostina non è stata d'accordo con me e siccome quel giorno era di buon umore mi ha dato una punizione sopportabile, un'ora a guardare il rosario su Canale Trinità, la televisione preferita delle suore.
-Forse così imparerai una buona volta a non fare il buffone.
Io non lo faccio apposta e non voglio neanche fare il buffone, è solo che la religione mi fa venire le domande dentro la testa.
Mamma dice sempre che io ho l"animo fisolofico", che non so cosa vuol dire, ma mi sa che è colpa sua se finisco sempre in castigo.
Come quella volta che Suor Agostina stava ad elencare tutti i superpoteri di Gesù: che lui è il re dei re, che moltiplica le cose da mangiare, che resuscita i morti eccetera e io sentivo questa domanda dentro la testa che non se ne andava anche se gli dicevo vai via vai via.
E alla fine ho alzato la mano e l'ho fatta:
-Ma Gesù, quando faceva la pipì, gli usciva l'acqua fresca?
-Piccolo delinquente- mi ha urlato lei contro la faccia, tanto che qualche gocciolina di saliva mi ha colpito (che schifo). -Ma allora tu vai a caccia di guai!
Quel giorno il mio sedere ha scoperto perché l'avevano soprannominata Braccio d'Acciaio.
E io che pensavo perché era uguale spiccicata a Braccio di Ferro.

domenica 1 agosto 2010

Demential-yacht

OTTO PAROLE (proposte da anneheche): Barbara, biblioteca, fiori, sole, latte, strada, sesso, Carrick (n.d.r. trattasi di un poliziotto infallibile protagonista di diverse avventure su questo blog)

L'Ocean Blue navigava placido a largo di Porto Cervo. Un gioiellino da nove milioni di euro -mica bruscolini - ma Folco Bronzi, ultimo discendente di una notissima famiglia di industriali blasonati, non aveva badato a spese in onore della sua nuova fiamma, colei che ora se ne stava languidamente distesa a prua a prendere il sole in topless.
Le riviste si erano tuffate a pesce sulla notizia del loro amore e avevano dedicato alla coppia titoli cubitali: "Il rampollo e la valletta" quelli meno velenosi, "La numerina e il conticino" tutti gli altri. Alludevano ovviamente alla trasmissione televisiva "Bilanci tuoi" dove lei ballava la sigla d'apertura.
Folco non ci aveva dato peso e nonostante tutte le previsioni negative la loro unione non aveva subito il logorio del tempo: la sua Bambi era ancora innamorata di lui come il primo giorno, due mesi addietro.

-Cicci- chiese Bambi- n'do sta er piccolo Lupo Lapo?
-Chi è? Nostvo figlio?
-Aò, stai sempre a scherzà tu.
-Pucci pucci, io schevzo, ma stavolta non so di chi tu stia pavlando.
-Mo' me fai venì er latte a le ginocchia: è er chiuahua che m' hai regalato pe' l' anniversario. Quella carognetta se nasconne dappertutto e dopo chi lo trova? Manco l'ispettore Carrick!
-Un altvo che dovvei conosceve?
-Ma no, questa è 'na cosa mia. Un giallo che 'sto a seguì su internet. Fori de testa amò, c'è n'ispettore, 'sto Carrick che te sto a dì, beh me pare er bisnonno de Derrick pe quanto è fijo de bona donna. Potrebbe scoprì pure er sesso dell' angeli quello là.
-Ah, un guavdone! Eh micetta, se ti piacciono i vomanzetti povno ce ne ho tanti giù in biblioteca.
-Mo' me verrai a dì che c'è pure 'na biblioteca, qui a bordo?
-Sì, ce l'ha voluta metteve l'avchitetto, diceva che dava un tocco cultuvale, pevò non mi vicovdo tanto bene la stvada pev avvivavci.
-Sei 'na sagoma amò: me sa che nei cannoni te ce metti troppe foglie e pochi fiori, tanto pe' fatte 'na citazione de l'anni sessanta. Però in effetti po' esse che er cagnetto sta laggiù a masticà le riviste. Quello morde tutto quello che trova e je da certe shakerate!
-Beh, speviamo allova che non scopva la Santa Bavbav....
BBBBBBUUUUUUMMMM!!!!

lunedì 26 luglio 2010

Come fu che Clarius cambiò registro


OTTO PAROLE
(su richiesta di yuma): Franco, prezzemolo, web, consapevolezza, amici, cervello, fuso, purga.

A quei tempi Clarius frequentava l'università prestando più attenzione ai bruschetta-party o ai festival del lambrusco invece che agli esami.
Tutto cambiò quando una sera trovò sopra il tavolo della cucina una lettera di Webster Griffin detto l'Americano, il suo compagno d'appartamento.
"Clarius,
me ne vado. Lascio gli studi, saluto gli amici e mi imbarco su un peschereccio islandese. Volevo diventare giornalista investigativo, tu lo sai, ma dopo otto mesi che viviamo inseme ho capito che questa non è la strada giusta per me. La tua vicinanza è stata illuminante, tu mi hai fatto prendere consapevolezza di una grande regola della vita: il cervello non è fatto per sudare.
Questo era il tuo motto tutte le volte che tornavo a casa per raccontarti dei miei studi e sulle prime ammetto che mi facevi arrabbiare.
Come quella volta che ti ho spiegato per filo e per segno i motivi per cui sicuramente i servizi segreti americani sono responsabili dell'11 settembre e tu mi hai risposto:
-Take it easy bello mio. Stasera c'ho due tipe a cena, godiamoci il prezzemolo della vita.
-Ma Clarius, io ti dico che tutta la storia degli ultimi anni si basa su un enorme complotto e tu pensi alle donne?
-Ah..eh...sìììì...complotto...e vabbè, ma quelle arrivano tra mezz'ora sai...
Avrei dovuto darti retta e prendermi la bionda, invece di chiudermi in camera a leggere il dossier della National Commission. Spero che tu quella sera sia riuscito a cavartela lo stesso, anche senza il mio aiuto.
Oppure quella volta che ti ho chiesto di accompagnarmi alla Conferenza Nazionale sul Signoraggio e tu mi hai risposto:
- Sei fuso? Stasera fanno Mazzabubù con Franco e Ciccio, mica me lo voglio perdere!
E ti confesso che ho anche saputo di quel soprannome che mi avevi dato, La Purga.
Forse lì sei stato un po' eccessivo, ma me lo meritavo: devi esserti irritato quando ho proposto di ospitare a casa nostra per due settimane il professor Complottis, ma lui è uno dei maggiori esperti riguardo al gruppo Bilderberg e offrirgli il letto in camera tua era il minimo che potessi fare per lui.
Ora ho compreso i miei errori, non aprirò più un libro, mi farò una donna in ogni porto, berrò birra e cercherò di vivere la vita come fai tu. Grazie dell'esempio.
Un caro saluto
Web "

Il rimorso fu tale che da quel giorno Clarius divenne un altro uomo.

giovedì 22 luglio 2010

Favola gotica

OTTO PAROLE (su richiesta di Sofia Luna): casa, bambino, principessa, albero, persona, quadro, lampadina, puzzle.

Ormai erano finiti i tempi degli eroi e dei cavalieri, la lampadina aveva sostituito la vecchia lampada ad olio, i telefoni avevano scalzato le missive e poi erano stati a loro volta superati dai cellulari. Una persona poteva compiere il giro del mondo anche in 24 ore se aveva l'aereo giusto a disposizione, eppure...

...eppure c'era ancora un bambino che si ostinava a credere che per girarlo tutto ci volessero ottanta giorni o al limite, come si apprendeva leggendo bene il libro di Verne, solo settantanove.
Si chiamava Burton, viveva in una
casa in mezzo al bosco e per lui il tempo si era fermato nei libri di favole che leggeva avidamente dalla mattina alla sera, mentre suo padre lavorava tutto il giorno chiuso nello studio con la faccia appiccicata al computer.
Burton non rideva mai, vestiva sempre di scuro, era più pallido del marmo inoltre gli piacevano tantissimo i gatti neri, i pipistrelli, i corvi, le bisce e tutti i rettili. Forse anche per questo quando gli altri bambini lo incontravano scappavano a gambe levate, convinti che fosse un fantasma.
-Quello è un morto vivente, se ti tocca con la mano ti trasforma in uno scarafaggio- raccontavano ai più piccoli per mettergli paura.

Nella mente di Burton quei tipi non erano bambini dispettosi ma "stolti villani", allo stesso modo in cui il postino era "il messaggero di terre lontane", la televisione era un "quadro incantato", l'automobile il "carro meccanico" e il puzzle in soggiorno un "dipinto lacerato".

Il suo libro preferito era "Fole e folletti" di Rita Cantastorie e il capitolo che più gli piaceva era quello della bacca magica: chiunque la possedesse poteva far comparire dal nulla una vera principessa.
Affascinato dall'idea, erano anni che Burton la cercava dappertutto.
Aveva percorso in lungo e in largo decine di volte l'intero bosco setacciando ogni singolo albero, guardando dietro i rami, sotto i sassi, in mezzo ai cespugli ma della bacca magica non c'era neanche l'ombra.
Un bel giorno, alle porte del paese, arrivò una fiera di venditori ambulanti con tendoni, gabbie piene di conigli e galline, stoffe, palloncini, musica.
Burton decise di farsi un giretto e
dopo una mezz'ora il suo intuito si rivelò. La bancarella recava l'insegna "Piercing per tutti" e sopra erano rovesciate cataste di ninnoli, palline, anelli, cerchi, pendagli.
In mezzo a tutta quella ferraglia faceva bella mostra di sé la bacca magica:rotonda, luminosissima e splendente.

Finalmente Burton avrebbe assistito a qualcosa di grandioso e senza indugiare oltre
la prese tra le mani.

-Uè bello -disse una voce alle sue spalle - molla lo swarovski. Non sai leggere?
Si trovò di fronte una ragazza dai capelli viola, vestita di pelle e borchie, con i lobi perforati da decine di orecchini e le unghie laccate di nero che picchiettavano sul cartello "non toccare" lì accanto. Burton si incantò a fissare la fanciulla e il tatuaggio a forma di lucertola che faceva capolino sul suo polso.
-Ha funzionato- sospirò soddisfatto.

venerdì 16 luglio 2010

Coscrizione stellare

OTTO PAROLE (sentite durante la finale dei mondiali di calcio): Argentina, gara, avversari, espulsione, finale, rigore, compagnia, campioni.


Anche se il nome della nave era Argentina 2305 l'equipaggio che la popolava non si limitava ai tizi sudamericani.
Ci partivano da ogni angolo della vecchia Terra, addirittura qualcuno proveniva da Satellite Moon. Facevano a gara quei citrulli per arruolarsi là sopra.
Chissà che gusto ci provavano nell'impegnare due anni della propria vita a farsi trattare come merde dal vecchio capitano Rico Heinlein? Pareva quasi che dire "sissignore, grazie signore" fosse la loro massima ambizione, così come proclamare ai quattro venti: -Io navigo con la Compagnia Buenos Aires, nave ammiraglia!
Il mio arruolamento invece aveva poco a che fare con la voglia di carriera, le ambizioni di gloria o, peggio mi sento!, il desiderio di avventura.
A me il rigore della vita militare aveva sempre fatto schifo: io ero un pittore, un genio del colore e della tela, un bohemien.

Le mie motivazioni si chiamavano Carmen Ibanez e Kelvin Kris, detto anche paparino.


Carmen Ibanez era la reginetta di bellezza del Liceo Yoshiyuki Tomino, dove anche io ero iscritto.
Quant'era bella mamma mia! Aveva due tette, cioè voglio dire due occhi, che erano calamite per lo sguardo. Ma era anche una di quelle fatte per stare con i vincenti, che si innamorano solo dei campioni di Starsoccer e dei figli di papà. E ovviamente tutti i campioni di Starsoccer e i figli di papà della scuola le sbavavano dietro, superfluo dirlo.
Decisi di attirare la sua attenzione e sbaragliare gli altri con un gesto plateale e dal gusto vagamente sovversivo. Alle ragazze di solito piacciono gli artisti ribelli arsi dal sacro fuoco e da quel punto di vista, modestia a parte, non avevo avversari.
Ci misi tutta la notte e il risultato finale fu grandioso: un murales che occupava tutta la facciata del liceo.
Il soggetto era Carmen ovviamente, nuda e adagiata su un letto di petali rossi, proprio come avevo visto una volta sulla locandina di un film dei tempi vetusti.
Solo che non fui compreso.

-Ahhh- urlò qualcuno. -Una ragazza in un lago di sangue!

-Ma no -rispose un altro.- E' la cartina stradale del Madagascar. Ma perchè l'oceano è rosso?

-Che dite? E' Gesù femmina.
L' arte e l'amore mi hanno fruttato l'espulsione dal liceo, e Kelvin Kris, cioè mio padre, è riuscito a riempirmi di botte ed arruolarmi sull'astronave come pelapatate nel giro di un pomeriggio.

Il mio vecchio è sempre stato un modello di efficienza.


domenica 11 luglio 2010

Al parco

OTTO PAROLE (ascoltando last.fm): lontane, sincero (da Amico mio di Alex Britti), superman, baby, revolution (da Baby Revolution di Gianluca Grignani), profumo, legale (da Anche questo è sud di Rino Gaetano), fotografia (da Sotto questo sole di Francesco Baccini).


La ragazza stava seduta sulla panchina pensando ai fatti suoi. Indossava una maglietta rossa con sopra scritto a chiare lettere: “Viva la Revoluciòn!”, una lunga gonna gitana, ciabattine ad infradito e sulle ginocchia teneva appoggiata una borsa etnica, da cui spuntava l’angolo di una rivista. Aveva addosso uno strano profumo esotico, il ragazzo lo sentiva anche se stava a qualche metro di distanza. Un profumo buonissimo, con uno strano retrogusto, qualcosa che lui conosceva già, ma non era in grado di mettere a fuoco.
Carlo si trovava nel parco perché doveva incontrare qualcuno, un tale Korda86 contattato su internet, per comprare una cosa molto importante. Ma intanto che il tipo non si faceva vedere, che male c’era a provarci con lei? Era così carina!
-Posso?- chiese un po’ impacciato. Lei si riscosse dalle sue fantasie, e gli fece giusto un cenno.
-Ah- tentò il galletto. -Anche a te piace il punk degli anni settanta?
-Eh?
-Hai la maglietta di Viva la Revolution dei The Adicts! Anche a me piacciono, l’hai mai sentita Jelly Baby? Spacca, n’èvvero? La ragazza lo guardò un po’ attonita, poi comprese e si mise a ridere.
-Guarda che c’è scritto Viva la Revoluciòn! E’ spagnolo, non inglese -poi si girò per mostrargli il retro della maglietta, dove c’era stampata la fotografia di Che Guevara, quella famosa con il basco.
-Ah...-annaspò lui. Ormai le speranze di fare colpo erano lontane. -Ad essere sincero non me ne intendo molto…sai, a me è sempre interessata di più la musica che la politica…vabbè, scusa, adesso vado che devo incontrare una persona…
-Che persona?
-Un tale che deve vendermi qualcosa…- il ragazzo si fece vago, sperando con tutto se stesso che la graziosa attivista non volesse approfondire.
-Se vuoi - propose lei, con lo sguardo furbetto - te la posso vendere io quella cosa. Basta mettersi d’accordo sul prezzo.
Carlo cadde dal pero: oddio, e adesso che voleva vendergli questa qua? Non è che quel faccino angelico in realtà nascondeva una poco di buono? Forse era una di quelle, e lui non l’aveva capito perché, come dicevano tutti, era sempre distratto. E quello strano profumo che lui non sapeva definire…vuoi vedere che era semplice puzza di spinello? Solo lui era capace di abbordare una battona spacciatrice di erba nel parco, e pensare che era partito di casa con le intenzioni più innocenti del mondo.
-No…-balbettò paonazzo- …io devo comprare una cosa legale…
Ed ecco che la ragazza scoppiò a ridere a crepapelle, con le lacrime che gli uscivano dagli angoli degli occhi.
-Non ti vendo mica la kriptonite - chiarì, divertita dall’imbarazzo di Carlo.
Tirò fuori dalla sua borsa etnica la rivista che faceva capolino, e gliela aprì sotto il naso. Era Superman vecchia edizione.
- Il numero 32- sussurrò Carlo - l’ultimo per finire la mia collezione…
-Sì, ma ti costerà più di quello che avevamo detto- mise in chiaro Korda86 facendogli l’occhiolino.-Almeno un invito a cena…

venerdì 7 maggio 2010

Lilli e il piano B


Alle sette di mattina Lilli non era mai di buon umore.
Si ricordava a malapena il suo nome e si interrogava sul perché si trovasse di fronte ad un pentolino con due (due!) biberon a bagnomaria piuttosto che sotto quattro o cinque strati di coperte a dormire della grossa.
Accanto a lei c'era un tizio dall'aria familiare -ah, sì, suo marito!- che preparava due tazze di latte macchiato e parlava a macchinetta di qualcosa che il suo cervello addormentato non riusciva a mettere a fuoco.

Quel giorno poi si presentava particolarmente duro, oltre alle solite quisquilie (lavoro, bambini, faccende) sul calendario la data era segnata di rosso e accanto c'era la scritta che nessuna donna alle sette di mattina vuole leggere.
"Ore 17.00 dott. Cavalli, ecografia al seno".
Tra le signore della sua famiglia c'era una discreta propensione a un certo tipo di disturbi, e una volta all'anno le toccava controllarsi per poter star tranquilla, e non c'era verso di scamparla, a meno che non fosse stata disposta ad affrontare l'ondata di rimproveri da parte di zie, mamme, sorelle, nonne, cugine e cognate appena il suo bigino fosse venuto a galla.
E intanto Franti continuava a parlare.
-...economia allo sfascio...anomalia nelle borse....-
Ah ecco, economia.
Il miglior argomento al mondo per farsi venire il buon umore di prima mattina, secondo forse solo ai bracconieri che scuoiano i cuccioli di foca, i nazisti che gassano i bambini e la fine del mondo nel 2012.

-Che hai?- chiese Franti, notando il suo grugno.
-Non me ne importa niente dei problemi economici di Wall Street - brontolò Lilli. -Ho problemi economici molto più seri io!
-Più seri delle stock options o dei flussi finanziari?
-Molto di più! Mai una volta che i soldi mi bastino per arrivare a fine mese o che riesca farci uscire qualcosa di piacevole per noi. Ogni volta che cerco di mettere da parte qualcosa salta fuori una spesa imprevista, tipo il radiatore della macchina da cambiare o che so io. Prendi oggi ad esempio: devo andare a farmi sprimacciare le zinne da un tizio, e non solo non provo alcuna attrazione fisica nei suoi confronti ma come se non bastasse devo anche pagarlo settanta euro, mica bruscolini!
Franti buttò un'occhiata al calendario e gli scappò un mezzo sorriso.
-Certo - ammise - fosse stato lui a dare settanta euro a te, sarebbe stato molto meglio.
-Infatti! E poi ho rifatto il mio solito incubo.
-Quale? Quello che siamo diventati così tanto poveri che tu sei costretta ad andare a battere il marciapiede per poter sfamare i figli?
-Proprio quello- mugugnò la ragazza, bevendo un sorso di caffellatte. -Ma stavolta era ancora più umiliante.
-E perché?
-Perché non si fermava nessuno. Tutti i puttanieri del mio incubo mi buttavano un'occhiatina di compatimento e poi passavano oltre.
-Oh poverina! Ma no, non ti preoccupare. Sei ancora una bella donna: sono sicuro che almeno un puttaniere riusciresti a fermarlo.
-Solo uno?- chiese Lilli un po' piccata.
-Tanti, tantissimi- si corresse al volo Franti.
-E infatti alla fine del sogno una macchina si fermava- puntualizzò lei, con trionfo.
-Hai visto? Ero sicuro che ce l'avresti fatta- la incoraggiò lui.
-Solo che - aggiunse Lilli delusa - quando mi giravo mi accorgevo che dentro la macchina c'eri tu.
-Ah! In effetti questo non avrebbe risolto di molto la nostra situazione economica.
-Ma sai una cosa? Alla fine mi è venuta un'idea, proprio mentre mi svegliavo.
-E' anche per questo che ti amo, perchè nella situazione più grottesca e disperata, quando va tutto storto e sembra non esserci più speranza, tu riesci sempre a pensare ad un piano di riserva, a un modo per poter comunque andare avanti. E dimmi, nel caso che si avveri questo tuo incubo, qual'è il tuo piano B?
- Sei tu, amore. Male che va, mandiamo anche te sul marciapiede.
-Ehm, ecco, hai visto?- rispose Franti, con voce un pelino stridula. -Una soluzione si trova sempre....


martedì 20 aprile 2010

IL GIOCO DELLE OTTO PAROLE N°2

Si prendono otto parole a caso, e si inventa un racconto breve che deve contenerle.
Facilissimo e divertente!
Provateci anche voi...

OTTO PAROLE (sentite al ristorante macrobiotico): bimba, sali, principale, semaforo, pizzeria, polipetti, stalle, maiali.

PROFEZIE


A volte Carolina De Nobis ripensava alla sua vita senza capire come avesse fatto a finire dalle stelle alle stalle in quel modo.
Lei, dal casato così stimato e rinomato, tanto che un suo avo era stato ispiratore dello stesso DeAmicis che ne aveva fatto il personaggio principale del libro Cuore. Il più incisivo e straordinario per intenderci, di certo molto più memorabile di quelle altre mezze calzette di Bottini o peggio, Garrone.

Lei, che da piccola era stata cresciuta a pasticcini farciti di miele del Camargue e aveva dormito tra candide lenzuola di cotone della Persia, che faceva il bagno solo se nella vasca venivano versate copiose manciate di sali del Mar Morto e indossava sempre guanti di seta giapponese, era ora ridotta a sciacquare tazzine e battere scontrini alla cassa di un ristorante. Come era potuto succedere?


Avrebbe dovuto dar retta a suo padre, buonanima. Il defunto conte De Nobis glielo aveva sempre detto.
-Bimba mia – diceva – ricordati che gli olandesi sono tutti maiali!

A dire il vero suo padre ce l’aveva tanto con gli olandesi, e con tutti i Paesi Bassi tanto per tenersi larghi, a causa di un fantino di Dordrecht che gli aveva fatto perdere ben più di una proprietà al gioco. Ma a Carolina questo cattivo presagio non era entrato in testa e a ventidue anni era fuggita insieme ad Hans, scultore anarchico di Rotterdam squattrinato e con poco talento.
La sua creazione più famosa era stata “Semaforo contro il potere”, un’opera di denuncia su come la segnaletica stradale sia un complotto dei potenti per tenerci soggiogati, e per esprimere il senso di ribellione a questa insopportabile dittatura il semaforo di Hans aveva tutte le luci invertite. L’unico problema era che Hans aveva realizzato il suo capolavoro all’incrocio principale della città, mandando in crisi il traffico dell’ora di punta e causando parecchi tamponamenti così alla fine era stato arrestato per danneggiamento della pubblica proprietà.

Carolina aveva lasciato Hans ed era tornata a casa, ma nel frattempo suo padre si era giocato ai cavalli, e su un fantino napoletano, tutto quel che restava del loro patrimonio.
-Ah, guardati dai napoletani,-aveva detto il padre esalando l’ultimo respiro - sono tutti porci!

E adesso, come se su di lei fosse caduto un anatema, si ritrovava insieme a Gaetano, cuoco partenopeo, a gestire una pizzeria di Posillipo con tanto di insegna luminosa che diceva così:”Dalla Contessa, specialità polipetti ripieni!”.

sabato 10 aprile 2010

EMMA

dal mio vecchio blog



Mi chiamo Emma, e in questi giorni ho un magone che se non mi sfogo scoppio: sono afflitta dai preparativi che stanno facendo a casa per festeggiare il mio compleanno.
Guardali là come si affaccendano tutti quanti!

La mamma non fa che preparare ciambelloni e panini per tutti i parenti che arriveranno, il babbo strimpella quella vecchia chitarra che non mi fa toccare mai e la nonna sta addirittura ritagliando degli striscioni di carta colorata con la scritta “Emma ha un anno”. Come se ci fosse bisogno di ricordarmelo... E chi se lo scorda, quello è stato uno dei giorni più brutti della mia vita!

Mi sembra ieri: era una giornata come tante altre e nulla lasciava presagire il disastro che ne sarebbe seguito.
Ragazzi, come stavo bene a quei tempi: le mie giornate erano pressochè perfette. Ero immersa in una acquetta calda e profumata, me ne stavo comoda comoda in una specie di stanza scura, ma non dovete pensare che mi sentissi sola perché c’era La Voce che mi faceva compagnia.
La sentivo di continuo, era dolce e soffusa e mi parlava da lontano, accompagnata da un tum-tum di sottofondo. Anche quando La Voce se ne stava zitta, il tum-tum non smetteva mai e io così sapevo che Lei non se ne era andata, ma stava solo riposandosi un po’.

Me la scialavo davvero e quella volta lì sembrava esattamente come tutte le altre: mi facevo gli affari miei e, ve lo giuro, non rompevo le scatole a nessuno quando, tutto d’un tratto, il cielo si è squarciato, una luce fortissima mi ha avvolta e due mani profanatrici mi hanno afferrata e strappata dalla mia casa.
Mi hanno tirata fuori, dove faceva un freddo cane e dove la luce era crudele e violenta.
Io ero terrorizzata dal freddo e dal dolore, urlavo disperata mentre mi giravano e rigiravano mi mettevano a testa in giù e mi passavano da un posto all’altro. Non ho mai avuto così tanta paura…poi, all’improvviso, l’ho sentita.
Era lei, La Voce.
Era più forte di quando me ne stavo dentro, un po’ distorta, ma era comunque Lei, non c’era ombra di dubbio. Continuava a parlarmi e mi diceva cose rassicuranti con quel suo tono dolce ed unico. Mi tranquillizzai un pochino, ma solo per qualche minuto perché dopo è venuto il peggio: altre mani, estranee e puzzone, mi hanno afferrata di nuovo, mi hanno portata via, mi hanno lavata, pesata, vestita, girata e per finire sbattuta in una culla con le sbarre.
Ero sfinita e terrorizzata. Non c’era più speranza.
Solo dopo un po’ mi sono calmata, quando finalmente mi hanno tolta da quel lettino ruvido e mi hanno messa tra le sue braccia.
Quando mi ha presa l’ho capito subito che era lei. Era la Voce, solo che adesso non era più solo una voce, era la Mamma.
Meno male che era arrivata!
Dovete sapere che la mia mamma è la mamma più brava del mondo, infatti lei ha capito subito che per me era un brutto momento e che avevo bisogno di consolazione, e per tutta la notte mi ha parlato dolcemente, a voce bassa, per farmi capire che anche se adesso ero fuori non era comunque finita.
Avrei comunque avuto il suono della sua Voce ancora accanto a me per aiutarmi.
Piano piano mi feci coraggio.
Mi dissi che con lei potevo farcela a superare tutte quelle grane che mi erano piovute addosso.

mercoledì 7 aprile 2010

IL GIOCO DELLE OTTO PAROLE N°1

Si prendono otto parole a caso, e si inventa un racconto breve che deve contenerle. Facilissimo e divertente!
Se ci volete provare anche voi aggiungerò il link della vostra creazione in fondo al post.
L'idea mi è venuta da un vecchio esercizio di stile proposto da Eulalia.

OTTO PAROLE (sentite ai giardinetti dove giocava mia figlia): scendi, Asia, formica, scale, notizia, faticaccia, mamma, mano

CARTOLINE

Quando la mamma mi annunciò che aveva deciso di trascorrere le vacanze in Asia, sulle prime non mi preoccupai dal momento che concedersi lunghe pause esotiche era per lei una divertente abitudine. Nel corso degli anni aveva già visitato il Cile, la Nuova Zelanda, la Turchia e il Canada e l’unica difficoltà per me consisteva nel darle una mano a preparare le venti o trenta valigie di “cose strettamente indispensabili” da portare con se. La mamma aveva anche la graziosa fissazione di scattare una foto ricordo che poi mi spediva in formato cartolina, con tanti saluti a me e a tutti i miei compagni. Quelle passate ce le avevo ancora tutte appese sopra la brandina della mia camerata.

Ma quell’anno non mi chiese di aiutarla. Questo particolare avrebbe dovuto farmi suonare un campanello d’allarme, invece niente. Mi resi conto della stranezza solo quando fu lei stessa a dirmelo.
Mi diede la notizia per telefono, quella codarda!

-Mi unirò ai naturisti di Panaji- annunciò tutta tranquilla.

Ecco perché stavolta non mi era toccata la faticaccia dei bagagli: non ce li aveva! Quella vecchia pazza voleva girare nuda per le spiagge di Goa, bruciare incensi e cantare le canzoni di Joni Mitchell con le vergogne di fuori…

-Non lo fare- gridai.

-Sono già sulle scale d’imbarco- rispose lei angelicamente.

-Scendi subito -ordinai.

-Tesoro, stai trasformando una formica in un elefante.

La posta del seminario viene smistata dal priore. Adesso chi glielo spiega, al reverendo padre, che quella anziana nuda sulla foto-cartolina non è mia madre, ma una formica con le tette al vento?


Ed ecco qua altre otto parole:

edaltrestorie

sabato 3 aprile 2010

LA FILOSOFIA DEL GATTO VIVACE



La Bmw metallizzata accostò a lato del cortile tra schizzi di ghiaia e di galline.
-Bongiorno signò -salutò allegramente la contadina, chinandosi dal lato del guidatore.-Volete l’insalata?
-No grazie Maria- rispose la lady, abbassando il finestrino. –Vorrei far prendere un gattino al mio Ruben.
-Ah, quest’anno la gatta n’ha fatti nove! Vai, vai piccolè, ce n’hai da sceglie! Stanno tutti nel fienile!
A quelle parole dal lato passeggero scese un ragazzino magro come uno scheletro con addosso una divisa da calcio giallo canarino tutta infangata.

-Sai Maria- spiegò la signora- è un regalo che gli avevo promesso da tempo ed oggi se l’è proprio meritato. Finalmente Ruben ha segnato un gol, io e suo padre quasi non ci speravamo più. Sono anni che lo facciamo giocare nella squadra del quartiere e lui a rifiutarsi, a piagnucolare che non gli va, che non gli piace. Tutta pigrizia dico io. Non ha voglia di impegnarsi. Ma il mondo non è di chi si tira indietro, il mondo è degli audaci, di chi si mette in gioco e di chi fa vedere agli altri di cosa è capace. Ecco perché ce lo abbiamo tenuto per forza. Perché era una lezione di vita. Solo chi sta al centro della mischia può riuscire, non trovi?
-E certo, signò- concordò la contadina. –E’ come per i gatti. La gente piglia sempre quelli più vivaci, quelli che se fanno vedè , e a quell’altri tocca affogarli, povere bestie.

Il ragazzino intanto si avvicinò alla cassetta appoggiata al lato del fienile, quella in cui diversi gattini giocavano ad azzuffarsi. Quando lo videro quattro micini corsero a strusciarsi intorno alla sua caviglia con fusa festose, due si buttarono pancia all’aria in cerca di grattini e tutti, più o meno all’unisono, si lanciarono in un miagolato più simile al cigolio di una vecchia porta che ad un richiamo animale. Solo uno di loro sonnecchiava nella paglia. Per un istante il pelandrone sollevò il musetto a controllare il motivo di tanto trambusto ma subito si rimise a dormire, annoiato da tutto quel frastuono. Ruben lo scelse senza esitazioni.